VILLAGGIO SARACENO

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VILLAGGIO SARACENO

Abitazioni, chiese, stradine, cisterne, jazzi, tutto in questo villaggio è frutto del compromesso che l’uomo ha trovato con la Natura nei diversi secoli della sua permanenza in questo territorio.

Abitazioni, chiese, stradine, cisterne, jazzi, tutto in questo villaggio è frutto del compromesso che l’uomo ha trovato con la Natura nei diversi secoli della sua permanenza in questo territorio.

Abitazioni, chiese, stradine, cisterne, jazzi, tutto in questo villaggio è frutto del compromesso che l’uomo ha trovato con la Natura nei diversi secoli della sua permanenza in questo territorio. Il risultato è questo insediamento antropico di 70 grotte-abitazioni collegate tra loro da sentieri uniti l’uno all’altro da gradoni tagliati nella roccia. I canaletti scavati nel tufo che, partendo da un unico punto, solcano come tante ferite le strutture abitative, permettevano di convogliare l’acqua piovana nelle cisterne poste all’interno della grotta e sul fondo della lama. 

Il Villaggio, in contrada Vitisciulo, è identificato col nome della famiglia Saraceno, proprietaria del terreno in cui insiste, ma i contadini e i pastori di Matera lo hanno da sempre collegato alla presenza dei pirati saraceni che, provenienti dal mar Ionio, avevano risalito il fiume Bradano e si erano insediati in questo luogo, da cui partivano per le loro incursioni nelle aree interne della Basilicata e nella stessa città di Matera, di cui si ricorda questo drammatico episodio: “I materani sostennero l’assedio per circa quattro mesi, alla fine de’ quali s’avvidero che la fame combattea al di dentro a favore degli assediati. Una madre assalita e da questo nemico e dalla trista idea di vedere il tenero suo figliuolo in braccio agl’Infedeli, si sentì forzata di farlo a se stessa servir di pasto. Dicesi, che in approssimarsi dell’atto  del delitto, gittandosi addosso del bambino gli tenesse questo discordo: Come potrà soffrire il mio cuore vederti in man di questi empj e crudeli Saraceni, e vil servo, e schiavo de’cani? Ah!
Più presto manchi oggi il lume al Sole, i moti al Cielo, e gli elementi co’ sventurati giorni miei finiscono, e la terra si apra e mi traguggi viva, che simil cosa io vegga. Rientra dunque in quel corpo donde uscito sei, e quel medesimo, che vita e lume ti diede, ora le tenerelle e sventurate membra in sempiterne tenebre chiuda e nell’estremo loro loco dia ricetto, e sepoltura”. 

Abitazioni, chiese, stradine, cisterne, jazzi, tutto in questo villaggio è frutto del compromesso che l’uomo ha trovato con la Natura nei diversi secoli della sua permanenza in questo territorio. Il risultato è questo insediamento antropico di 70 grotte-abitazioni collegate tra loro da sentieri uniti l’uno all’altro da gradoni tagliati nella roccia. I canaletti scavati nel tufo che, partendo da un unico punto, solcano come tante ferite le strutture abitative, permettevano di convogliare l’acqua piovana nelle cisterne poste all’interno della grotta e sul fondo della lama. 

Il Villaggio, in contrada Vitisciulo, è identificato col nome della famiglia Saraceno, proprietaria del terreno in cui insiste, ma i contadini e i pastori di Matera lo hanno da sempre collegato alla presenza dei pirati saraceni che, provenienti dal mar Ionio, avevano risalito il fiume Bradano e si erano insediati in questo luogo, da cui partivano per le loro incursioni nelle aree interne della Basilicata e nella stessa città di Matera, di cui si ricorda questo drammatico episodio: “I materani sostennero l’assedio per circa quattro mesi, alla fine de’ quali s’avvidero che la fame combattea al di dentro a favore degli assediati. Una madre assalita e da questo nemico e dalla trista idea di vedere il tenero suo figliuolo in braccio agl’Infedeli, si sentì forzata di farlo a se stessa servir di pasto. Dicesi, che in approssimarsi dell’atto  del delitto, gittandosi addosso del bambino gli tenesse questo discordo: Come potrà soffrire il mio cuore vederti in man di questi empj e crudeli Saraceni, e vil servo, e schiavo de’cani? Ah!
Più presto manchi oggi il lume al Sole, i moti al Cielo, e gli elementi co’ sventurati giorni miei finiscono, e la terra si apra e mi traguggi viva, che simil cosa io vegga. Rientra dunque in quel corpo donde uscito sei, e quel medesimo, che vita e lume ti diede, ora le tenerelle e sventurate membra in sempiterne tenebre chiuda e nell’estremo loro loco dia ricetto, e sepoltura”. 

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